Il Marocco è sempre il Marocco, anche se abbiamo trovato Istanbul molto più affascinante e rilassante della tanto osannata Marrakech.
La Medina (città fortificata) di Marrakech è certamente attraente, esotica, colorata e non mancano i negozietti e laboratori artigiani. Però pare di essere a San Marino.
A parte qualche notevolissima eccezione, che non può mancare in una metropoli, gran parte degli oggetti in vendita faticava ad elevarsi al di sopra del rango di souvenir o regalino dovuto. E non è affatto vero che i gruppi di giovani aggressivi e insistenti che si aggirano per le labirintiche stradine, fornendo indicazioni sbagliate, siano rari. In almeno un’occasione, dopo il tramonto, ci siamo sentiti pecore tra i lupi (unica circostanza in tutto il nostro soggiorno marocchino).
Dunque, perché non prendere contatto con chi la città la conosce?
Noi abbiamo dormito al Riad l’Orangeraie, nella Medina.
Poiché però non siamo dei pavidi, ciò non ci ha scoraggiati e abbiamo comunque deciso di aprire una delle tante porte metaforiche di Marrakech, per attraversare (di giorno e lungo l’arteria principale, la Route de Safi!) la periferia e specialmente quella vasta porzione di città che si estende per circa 4 chilometri (un’ora a piedi a farla lunga) in direzione di Sidi Ghanem, il distretto industriale.
Qualcuno di voi si domanderà perché mai uno dovrebbe inoltrarsi in un territorio incognito, molto povero, coperto di capannoni e mal servito dai mezzi pubblici?
In primo luogo perché una delle immagini più belle di quell’esperienza è rimasta quella di un rione, appollaiato su una vera e propria scogliera a qualche chilometro dal nucleo centrale della città. Tralasciando l’inevitabile discarica sul fondo della scogliera e la miseria che si poteva toccare con mano, i residenti erano curiosi ma gentili (avranno mai visto dei turisti occidentali?) e la vista su Marrakech, sulla sua piana e sull’Atlante era letteralmente da mozzare il fiato.
Tuttavia la vera ragione per procedere oltre e arrivare a Sidi Ghanem (ci potete andare direttamente in taxi senza spendere chissà che) è che, a parte il quartiere più centrale e benestante dove si trovano il concept store 33 Rue Majorelle e il Jardin Majorelle – un giardino caratteristicamente giallo-blu cobalto creato dal pittore Jacques Majorelle e poi acquistato e restaurato da Yves Saint Laurent e Pierre Bergé –, questo distretto industriale e post-industriale ci pare l’unico luogo in cui ci si possa rilassare, senza essere assillati dai venditori e senza essere soffocati dalle “turisticherie” (Sophie, L’artisanat marocain, du producteur au revendeur, 9 novembre 2014).
Questo anche perché la sua clientela è costituita principalmente dalla borghesia marocchina, o comunque da un segmento mediamente più esigente dell’afflusso turistico, interessato a gioielleria, pelletteria, oreficeria, tessuti, vasellame, mobili, lampade, accessori, abbigliamento, ecc. (Marrakech: A la mode du concept store, L’Economiste, 27 ottobre 2014).
A Sidi Ghanem si va alla ricerca di artigianato e design realmente creativi, che non riproducono gli schemi della tradizione ma li reinterpretano secondo un gusto contemporaneo e accattivante, senza disdegnare l’upcycling.
Là si trovano decine di showroom, boutique e magazzini e, soprattutto, si possono incontrare di persona i creativi, in genere francofoni o anglofoni, alcuni marocchini di adozione (Marrakech handcraft and decoration).
È il tipo di esperienza che, inconsciamente, ci ha poi “costretti” a far nascere WazArs, che è il nome che abbiamo dato non tanto a un’agenzia di promozione dell’artigianato artistico, quanto a un modo di intendere il rapporto tra il creativo e il cliente che riduce le distanze e apre allo scambio umano, alla scoperta delle reciproche personalità, un’eventualità assolutamente improbabile nei suk del centro, in cui ci si sente più che altro delle pecore da tosare, appunto.
Si badi bene, il luogo è brutto come lo può essere un’area archeologica industriale ed è assai probabile che, se tornassimo lì, non troveremmo più gli stessi atelier e laboratori. Già a quel tempo la cartina che ci eravamo procurati era abbastanza inutile. Oltre la metà dei creativi che ci interessavano se ne erano andati altrove, mentre ne erano sopraggiunti altri che non figuravano sulla lista.
Questo però significa anche che i prezzi erano (e crediamo siano ancora) abbordabili (accettano le carte di credito).